Arthur Coddington
Ok, ok, Ë vero. Mi faccio le ìleggiî e mi ìscopro gli inganniî con scandalosa regolaritá.
Dovevano essere gli articoli dei soli giocatori del Paganello 2005, ma ho inserito il mio Paul Kenny. Adesso faccio un’altra ìschedaî abusiva: questo Ë un giocatore che al Paganello non Ë mai venuto. Quindi, giá questo dovrebbe radiarlo. Non solo, non verrá neanche quest’anno. So che ci ha provato, e di brutto, ma non ce l’ha fatta. A meno di un miracolo (economico) non verrá. E me ne dispiace. Molto.
Ed allora? Allora succede che con questo giocatore ho un feeling particolare. Feeling nato per sbaglio, per caso, per volontá, per una mezza frase, per uno scherzo, comunque nato. E cresciuto, in questi ultimi mesi, fino a diventare qualcosa di pi˘ importante, e particolarmente bello. Amicizia Ë una parola grossa. Specie per me. Ma sÏ, diciamo che siamo sulla buona strada per. E tanto basta. Per farci sopra una scheda.
Arthur Coddington rappresenta il giocatore ìvincenteî.
Uno di quelli che i freestylers annoverano fra i ìduriî da battere. Forse, addirittura, uno degli ìinvincibiliî.
E’ dura far parte di questa categoria. Specie se si ha un carattere un po’ chiuso, se non si Ë pazzi scatenati a tutti i party, se non ci si riempie di birra, se non si passano le notti a giocare su un carpet, magari vestiti di soli frisbee.
Si rischia di rimanere isolati.
Oh, non nel senso di ìsoliî. Piuttosto isolati come sono i ìgrandiî, i ìmiglioriî, come sono gli ìirraggiungibiliî.
Arthur Coddington, nell’immaginario di molti di noi (sÏ, io per prima), era ìilî giocatore bravissimo, perfetto, era il freestyler da manuale, era quello che faceva 4 dicasi 4 giri, poi anche la capriola, e magari una cieca e allora basta, dai, abbiamo capito, sei un grande.
PerÚ, nell’immaginario di molti noi (sempre io per prima), era il ìcompetitorî per eccellenza, ma anche la figura pi˘ distante in assoluto dal freestyler che amo, giocoso e gioioso, che fa parte di una comunitá, che il frisbee non Ë ìsoloî sport Ë ìancheî sport, e ce ne passa, di differenza.
Quindi sÏ, lo ammiravo, da pelle d’oca il suo gioco, da annali le sue routines, segnare questo esercizio fra i pi˘ improbabili, grazieÖ.ma emozione zero.
Arthur Coddington, lo ammetto in tutta tranquillitá, era per me un giocatore da ìraccontareî quale primo nel ranking e blablabla. Niente di pi˘. Zero comunicazione, zero senso di appartenenza allo stesso gruppo. Al di lá del fatto del prestigio di averlo in una competizione, altro non c’era, a riempire lo spazio fra noi.
Ora, diciamolo, fosse stato italiano sarebbe stato diverso. Una lingua in comune avrebbe azzerato questo distacco. Ma il mio inglese Ë sempre quello, le progressioni sono ìallarmantiî. Per fortuna, perÚ, necessitá fa virt˘, od una cosa simile: io di Arthur avevo bisogno, ad FPA 2004. Di pi˘. Pendevo letteralmente dalle sue conoscenze in fatto di giuria, composizioni di entrate in gara eccetera. Ed Arthur non mi aiutato, di pi˘. E’ lui che mi ha costruito tutte le gare, giorno per giorno, o meglio notte per notte. Perché la mattina successiva non avevo bisogno di chiedere, lui aveva giá preparato tutto: liste, punteggi, giurie. Anche le copie da attaccare al cartellone.
Ora, uno puÚ anche non parlare, ma se ti fa un lavoro cosÏ, per me Ë da eleggere Presidente di qualcosa subito. Arthur ha fatto tutto il lavoro ìsporcoî quello che nessuno vede ma ti fa venire il mal di testa, un bel po’ di stress, ed anche un leggero odio nei confronti delle gare.
E poi. Per la prima volta, dopo un tot. di anni, io e Arthur abbiamo parlato. Adesso, ìparlatoî Ë una parola grossa.
Comunicato, in qualche modo.
In qualche momento, raro e, come tutte le cose rare, molto bello, siamo entrati in sintonia, ed ho ìcaptatoî dietro al grande competitor, una persona che mi sarebbe piaciuto conoscere.
CosÏ, abbiamo (oddio, all’inizio grazie a ME, diciamolo, eh?) abbiamo, dicevo, cominciato a sentirci. E parla un po’ oggi, parla un po’ domani, ho ìscopertoî un Arthur Coddington diverso dall’iceberg che conoscevo. Oh, sia ben chiaro: non una persona ìfacileî. Anzi. Non Ë quello che chiamerei un ìcompagnoneî. Non Ë un PK, per intenderci. Ma Ë interessante. Disponibile. Sensibile. Ascolta. (rara cosa, nel mondo, qualunque tipo di mondo).
Guarda. Con attenzione. Ama il frisbee pi˘ di quanto immaginassi. Sa di essere un grande competitore, ma Ë consapevole anche che ciÚ non significa essere automaticamente un grande freestyler. Riconosce i propri limiti, e questo giá di per sé li annulla.
E’ una persona che mi Ë ìentrata dentroî in questi mesi invernali, facendomi conoscere altre cose, la photo, per esempio, la politica, i libri, i film. Un mondo ricco, variegato, sempre profondo, mai banale. Una persona rara, appunto.
Ed ancora di pi˘ mi mancherá a questo Paganello. Ne abbiamo parlato tanto, mi sarebbe piaciuto ìpresentargliî il torneo che amo di pi˘, quello che mi fa sputare sangue, ma dal quale raccolgo le soddisfazioni pi˘ grandi. Avrei voluto fargli vedere la meraviglia di 1.600 giocatori di frisbee insieme, avrei voluto portarlo ai nostri party, fargli sentire la folla intorno a noi, fargli visitare una Rimini diversa da quella che ha visto, di sfuggita
Ecco, Arthur, se l’avessi dovuto scrivere anche solo qualche mese fa sarebbe stato un Arthur diverso.
Ma il ìmioî Arthur, adesso, Ë un amico, o quasi amico, o sulla strada per.
E’ comunque, una persona che mi mancherá.
E che spero anche voi conosciate, come ho avuto il privilegio di farlo io: e che riusciate a vedere tutto quello che ho visto io, dietro e dentro quel frisbee.
Ne vale la pena, davvero.